Qual è il tuo processo di creazione? Parti da un’immagine o da un’idea? O da altro?
Finora sono sempre partito da una esigenza, da una forte necessità di raccontare la mia esperienza, quasi come una terapia. CARGO, il documentario girato nel 2010 sulla vita a bordo di una nave petroliera, implicitamente racconta il rapporto con mio padre, che per trent’anni ha lavorato su quelle navi, e che per questo motivo per metà della mia vita non ho potuto frequentare. CARGO è il mio complesso di Edipo. ZAVORRA, il documentario uscito quest’anno che racconta la vita di alcuni anziani all’interno di un ospizio in Sicilia, invece vuole essere il congedo dai miei nonni, dei quali ho sempre avuto il rammarico di non averne filmato una testimonianza, un racconto, la malattia stessa.
Ci sono delle influenze interdisciplinari molto importanti nei tuoi video? Ad esempio la musica, il cinema, la pittura?
I miei documentari non sono mai “documenti” nè “inchieste”, CARGO non mostra come funziona una nave petroliera, e ZAVORRA non parla dei problemi di gestione di un istituto geriatrico. Quello che mi interessa è il lato umano, le persone con i loro corpi e le loro parole, i loro sogni e desideri, che sono quelli, in entrambi i lavori, di una comunità di persone costrette ad una condizione di isolamento. Forse si può dire che si tratta di documentari più vicini alla poesia che alla prosa, dove si cerca di dare spazio e tempo alle immagini e ai suoni, di sicuro il mio tentativo è quello di guardare più al cinema che ad un “taglio televisivo”. Per lo stesso motivo diventano fondamentali nel racconto l’uso del linguaggio, la forma e la cura dell’immagine, che in CARGO è più aperta, pittorica, composta, e che in ZAVORRA invece è più realistica, più chiusa nella scelta dei tagli e con un uso più largo della macchina a mano.
Quali videomaker o registi ti hanno influenzato?
Innanzittutto citerò soltanto autori viventi, altrimenti l’elenco si potrebbe dilungare. Qualcuno adesso mi sfuggirà, ma diciamo che gli imprescindibili, quelli che tengo ben a mente quando lavoro per l’ispirazione che mi danno sono: Malick, Herzog, Bela Tarr, Dardenne, Gus Van Sant, Harmony Korine, Haneke, Lynch … mi fermo perchè vorrei metterci qualche autore italiano … Garrone, Frammartino, Pietro Marcello, i fratelli De Serio, e poi documentaristi meno noti, per lo più conosciuti ai festival, che mi hanno colpito per i loro lavori così innovativi, sperimentali, coraggiosi: Antonio Martino, Carlo Michele Schirinzi, Giovanni Giommi, Giovanni Cioni, Gianfranco Rosi. Tutti gli autori citati hanno alcune cose in comune che io ritengo fondamentali, ossia una forte visione e poetica personale, una quasi totale autonomia e indipendenza nelle proprie scelte, una reale esigenza nel fare questo lavoro.
Intervista a cura di Duccio Ricciardelli