PETER TSCHERKASSKY | Outer space | 1999 | 9’58”

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PETER TSCHERKASSKY | Outer space |  1999 | 9’58”

de il7 – Marco Settembre

Peter Tscherkassky (Vienna, 1958). Dalla fine degli anni ’70 ha fornito nuovi impulsi al rapporto immagine-suono, risultando un regista pilastro del cinema d’avanguardia austriaco, in quanto sperimentatore di tecniche, linguaggi e possibilità espressive, specialista del found footage ma anche autore di testi critici, direttore a Graz del festival www.diagonale.at, fondatore della Sixpackfilm, e vincitore nel 2010, alla 67ima Mostra del Cinema di Ve-nezia, sezione Nuovi Orizzonti, con “Coming Attractions”. La prassi artistica di Tscherkassky, ostinatamente analogica, mostra, al confronto con l’attuale must digitale, la complessità multistratificata di campi, controcampi, illuminazioni e tecniche di montaggio che solo il lavo-ro paziente e certosino su Super8 e pellicola è in grado di assicurare all’elaborato.

“Outer space” è la trasposizione di un film horror, Entity di Sidney J. Furie, nell’indefinito percettivo di un incubo in cui l’apparato cinematografico e l’eroina protagonista, Barbara Hershey, vengono scossi in un as-salto sussultorio alla continuità filmica, alla certezza dei fotogrammi. L’instabile assedia una casa notturna, luci misteriose appaiono nel buio e altrettanto velocemente vi risprofondano, mentre la donna si muove ver-so l’edificio e vi entra. Il resto sono giochi al coperto, distorsioni ed inceppi del montaggio, una rivolta resa più tesa da un sonoro graffiante ma anche represso, soffocato. Il found footage hollywoodiano vive il suo se-greto tormento interiore, e la donna lotta contro gli spettri della sostanza filmica, sembra soccombere, come intrappolata per sempre in una bobina difettosa che è ormai la sua dimensione ontologica, ma contrattacca, riemerge nel delirio di specchi innestato tra i frames distorti ad incastro. La matericità della pellicola, con i margini dell’immagine, le perforazioni vuote, ma anche la colonna sonora, sembrano voler pervertire quella che comunque già è una realtà “ulteriore”. Gli studi psicologici e filosofici spingono Tscherkassky a concepire le sue opere per un pubblico che si lasci affascinare dall’emozione in se, ma che, sollecitato, si ponga anche quesiti sull’emozione stessa, nonchè conseguenti riflessioni sul rapporto tra percezione e comprensione.

a cura di il7 – Marco Settembre